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Yves Klein e Arman: Le Vide et Le Plein. I due maestri del Nouveau Réalisme a confronto alla Collezione Giancarlo e Danna Olgiati di Lugano
By Jacqueline Ceresoli
Pubblicato il
Novembre 2024
INDICE
La Collezione di Giancarlo e Danna Olgiati, appassionati mecenati di arte dal Futurismo all’Arte Povera fino alla Transavanguardia, scrive la storia del Novecento sotto la lente dell’amicizia con gli artisti di cui hanno scelto le opere per se stessi. A Düsseldorf Giancarlo, in una galleria, ha scoperto il lavoro di Klein e Arman, protagonisti del Nouveau Réalisme, e subito ha capito che le loro opere rivoluzionarie aprivano riflessioni sull’uso di materiali organici e industriali, inclusi oggetti di scarto quotidiani, e il corpo come medium spirituale e concettuale.
La mostra
A Lugano, con l’imperdibile mostra Yves Klein e Arman. Le Vide et Le Plein a cura di Bruno Corà, si inscena un serrato vis à vis che apre la stagione espositiva 2024 della Collezione Olgiati con un progetto originale, anche nell’allestimento ideato e firmato da Mario Botta, incentrato sul confronto delle opere e le opposte poetiche di due giganti del Nouveau Rèalisme, movimento teorizzato da Pierre Restany negli anni Sessanta.
L’esposizione, basata sull’antinomia estetica e poetica del “vuoto” e del “pieno”, prende forma dall’idea di mettere a confronto per la prima volta due mostre parigine irripetibili a causa della loro natura performativa connessa all’azione dal vivo dei singoli autori, ovvero Le Vide di Klein del 1958, ospitata nella galleria parigina di Iris Clert in Saint–Germain, e Le Plein dell’amico Arman del 1960. Il primo reinterpreta la spiritualità in maniera laica, il secondo apre riflessioni sul consumismo quantitativo e il nuovo rito della società dei consumi.
Negli spazi sotterranei della Collezione Olgiati, un ex garage, nella navata centrale sui cui lati spiccano absidi ottagonali in cui sono conservati, come reliquie sacre, a sinistra i lavori di Klein e a destra quelli di Arman, il visitatore può ammirare in maniera chiara e immediata le opere, fruibili da diversi punti di vista e sempre in dialogo tra loro, in un crescendo temporale negli anni in cui si stavano definendo le ricerche del movimento Nouveau Réalisme.
Yves Klein e Arman
Botta nell’allestimento fa dialogare la vita e le opere dei due artisti nati a Nizza lo stesso anno, il 1928, amici uniti dalla frequentazione della stessa scuola di judo, appassionati di jazz e di esoterismo, in particolare dei Rosacroce, concepito in due percorsi distinti e paralleli negli spazi poligonali. I visitatori hanno la possibilità di immergersi nei diversi linguaggi complementari di Klein, studioso di lingue orientali, della filosofia Zen, attratto dall’assoluto e da orizzonti spirituali che ha tradotto visivamente con il celebre monocromo blu, brevettato con il nome di International Klein Blue (IKB), un processo di sottrazione fino a trasformare il vuoto, l’assenza di immagini, in una categoria estetica, come condizione meditativa dell’arte. Al contrario Armand Pierre Fernandez, alias Arman, è collezionista convulsivo e seriale di oggetti e di arte africana. Il primo è folgorato dalla tensione verso l’infinito, invece il secondo è ossessionato dall’accumulo, dall’invasione edonistica degli oggetti del quotidiano, oscilla tra fascinazione e critica degli oggetti di consumo ammucchiati dentro a contenitori di plexiglass o teche di legno (Accumulazioni).
Il versante dedicato a Klein, scomparso prematuramente nel 1962 a 34 anni, all’apice della sua carriera, si apre con un ciclo di nove monocromi (gialli, rosa, bianchi, oro e blu), mentre nelle altre sale seguono opere che materializzano la sua idea di vuoto e tensioni verso l’assoluto, dalle Cosgomonie, alle Antropometrie, fino alle Peinture de Feu san titre del 1961.
Giancarlo Olgiati, nel 1979, tramite l’assistente di Klein, Jean Jacques Mirouse, ha avuto la possibilità di acquistare Cosmogonie – une pluie Fine de Printemps (COS 40) del 1961 e poi, nel 1986, tramite Arman, un monocromo rosso, Monochrome rouge sans titre (M106) del 1956, già di proprietà di Andy Warhol. Negli anni successivi si è appropriato di Monochrome jaune san titre (M 73) del 1957, e di un blu Monochrome bleu san titre (IKB246). L’ultimo acquisto è stata una bellissima spugna, Sculpture Éponge bleue sans titre (SE 263) del 1960 ca, di proprietà del loro amico e artista Nicolás García Uriburu.
Arman, morto nel 2005, risponde alle suggestioni del vuoto con opere piene di oggetti ordinati in un caos armonico, accumulazioni apparentemente caotiche di materiali diversi, anche di scarto, seguendo un raffinato processo di decostruzione e ricomposizione.
Klein ha soggiornato circa un anno e mezzo in Giappone, dove scopre la profondità della filosofia Zen e nella sensibilizzazione sul vuoto, una dimensione che domina la cultura asiatica, sancisce la sua inclinazione per l’assoluto. Il preludio di Le Vide si ha nel 1955 quando, al rifiuto di un suo monocromo arancione presentato al Salon des Réalités Nouvelles, presso gli ambienti delle Editions Lacoste di Parigi, oppone ed espone monocromi di differenti colori nella mostra Yves Peintures presso il Club des Solitaires. Da questo episodio Klein mira all’obiettivo: l’epoca del blu, per la mostra del 1956. Il Blu di Klein è paragonato dal critico Restany agli affreschi di Giotto ad Assisi. Nel 1957 Guido Le Noci, nella sua galleria Apollinaire a Milano, espone undici dipinti monocromi realizzati l’anno precedente nella mostra Klein: Proposte monocrome. Epoca Blu di cui uno venne acquistato da Lucio Fontana, folgorato dal giovane artista non ancora trentenne. I suoi Blu oltremare sono di una tonalità brillante inconfondibile, un sigillo d’infinito già da quel Manifeste de l’Hotel Chelsea, redatto nel 1961 in occasione della mostra Yves Klein: Le Monochrome presso la Leo Castelli Gallery di New York.
Il 28 aprile 1958 Klein presenta Le Vide, mostra cardine della poetica del vuoto: una sala vuota adatta per la celebrazione del tè giapponese, in cui si palesa l’assenza. Due anni dopo Arman risponde con Le Plein riempiendo la stessa sala di oggetti di scarto alla rinfusa, vecchi mobili e detriti vari che rappresentano la nuova società dei consumi. Uno ha bisogno dell’altro per definirsi nello spazio e nel tempo e per intraprendere nuovi orientamenti di ricerca, senza perdersi mai di vista. In questa mostra capire dove inizia il vuoto e finisce il pieno o viceversa è un gioco concettuale complesso ma affascinate, perché, grazie al magistrale allestimento di Botta, tutto si snoda in una serie di rimandi alle evoluzioni della storia dell’arte contemporanea dai plurimi significati, in cui i materiali stessi diventano materia dell’arte ed entità poetiche.
Visitando la mostra di due amici che non hanno lavorato insieme direttamente, ma che si scambiano codici in un contraddittorio stimolante, capiamo cogliendo con lo sguardo attento le compenetrazioni tra le opere leggere come l’aria di Klein e le invadenti accumulazioni di Arman. Così tra le spugne blu, sospese nel vuoto, le danzanti antropometrie impresse sulla carta dai corpi nudi delle modelle dipinti di blu, fino alle ultime Cosgomonie, dove il blu svaporato dalla pioggia tende all’evanescenza, s’intrecciano in crescendo visivo dinamico con le inquietanti mani di bambole, rasoi e lampadine usate, i violoncelli scomposti e altri materiali di Arman, in questa cattedrale della modernità dove tutto si impagina nello spazio come le note in uno spartito musicale.
Di Arman non si dimenticano le opere all’inchiostro, le impronte di timbri, le carrozzerie Renault saldate, in cui è evidente la matrice sua futurista. Il gioco tra i due artisti di confrontarsi continua a distanza con il Premier portrait–robot d’Yves Klein, un Monochrome in cui Arman ritrae Klein sotto forma di un’attorcigliata accumulazione di indumenti, carte, pagine di saggi del filosofo Gaston Bachelard, un frammento Tintin, la casacca da judoka e la cintura nera da maestro, IV dan. Klein risponde con il calco del corpo di Arman patinato di blu oltremare, inscrivendo se stesso e l’amico fraterno in un’infinita complicità affettiva e intellettuale.
AUTHOR
Jacqueline Ceresoli
Storica e critica dell’arte. Docente universitaria, curatrice di mostre indipendente. Collabora con diverse testate di architettura e arte. Il suo ultimo libro è Light art paradigma della modernità. Luce come oper-azione di arte relazionale, Meltemi Linee (2021). Scrive su LUCE dal 2012 e tiene la rubrica Light art da quando l’ha proposta al direttore diversi anni fa.
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