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ARTE E ALCHIMIA SI FONDONO IN “UNTRUE UNREAL”, LA MOSTRA DI ANISH KAPOOR A FIRENZE
By Jacqueline Ceresoli
Pubblicato il
Novembre 2023
Tutta l’arte è finzione, per capirlo basta il titolo Untrue Unreal (non vero e non reale), scelto per la sua mostra monografica a Palazzo Strozzi a Firenze da Anish Kapoor, maestro dell’impossibile che ha superato il confine tra pittura e scultura, plasticità e immaterialità, indagatore dell’ignoto e dimensioni sconosciute come nessun’altro e che ha rivoluzionato l’idea di scultura nell’arte contemporanea.
Anish Kapoor (Mumbai, 1954) si trasferisce a diciannove anni a Londra dove diventa, insieme ad artisti quali Tony Cragg e Richard Deacon, il protagonista del rinnovamento della scultura britannica degli anni ’80. La sua ricerca si sviluppa intorno ai temi dello spazio e della percezione del vuoto con valenze spirituali legate alle filosofie orientali. Dopo il successo alla Biennale delle Arti Visive di Venezia (1990), si afferma come star internazionale.
L’artista – alchimista trasporta l’oggetto nella quarta dimensione e ha inventato un materiale tecnologico più nero di un buco nero, in grado di assorbire il 99,9 per cento della luce. L’inverosimile si fa reale con le sue opere specchianti o di cera rossa calda, fredda, flessibile, solida, amorfa e polimorfa, in cui psiche e materia coesistono.
La mostra Untrue Unreal, a cura di Arturo Galansino, propone un confronto diretto tra l’artista e l’edificio simbolo della cultura rinascimentale fiorentina, attraverso una mirata selezione di sculture e installazioni realizzate dagli anni ’80 fino ad oggi. Inizio e fine del percorso è Void Pavilion VII (2023), il nuovo ambiente site specific concepito per il cortile interno del Palazzo Strozzi che, insieme alle altre opere, traccia un percorso omogeneo delle ricerche di Kapoor relative a processi di trasformazione che mettono in discussione la nostra percezione.
Il viaggio dentro l’imperscrutabilità del vuoto incomincia al Piano Nobile con Svayambhu (2007), monumentale blocco di cera rossa, opera “autorigenerante” che plasma la sua materia informe nel rapporto con l’architettura e pone una riflessione dialettica tra vuoto e materia. Lo stesso discorso vale per Endless Column (1992), grande colonna omaggio alla scultura La colonne san fin (1937) di Costantin Brâncuși, che sembra oltrepassare il soffitto della terza sala e traforare il pavimento di Palazzo Strozzi. La colonna, irrorata di un pigmento brillante, mostra corporeità architettoniche inverosimili.
Nella quarta sala fagocitano lo sguardo la serie delle black works (opere nere), Non-Object Black (2015), realizzate in Vantablack, materiale innovativo in nanotubi di carbonio in grado di assorbire più del 99,9% della luce visibile e rendere invisibili i contorni di un oggetto. Il suo nero mette in discussione l’idea stessa dell’oggetto, annulla la terza dimensione, invitando lo spettatore a riflettere sulla natura dell’essere e non soltanto sulla natura degli oggetti permeati d’immaterialità, come si vede in Dark Brutal (2023) e Untitled (2023). I suoi frammenti di vuoto, “proto-oggetti”, come l’artista ha definito queste sculture ready-made dell’immaterialità, in cui la gestazione dell’assenza è l’opera stessa.
Nella quinta sala, con Gathering Clouds (2014) continuiamo a fare esperienza del “non-oggetto”, insolite “nuvole che si addensano” composte da quattro monocromi concavi in cui specchio, vuoto e colore assorbono lo spazio circostante in una oscurità meditativa o in una distorsione riflessiva. Il concetto di confine e dualità tra soggetto e oggetto sono temi centrali della ricerca di Kapoor nelle sculture specchianti come Vertigo (2006), Mirror (2018) e Newborn (2019), grandi sculture che sembrano sconvolgere le leggi della fisica ospitate nella settima sala, che riflettono, deformano, ingrandiscono, riducono e moltiplicano lo spazio circostante, creando una situazione destabilizzante per lo spettatore che in esse si specchia. Sulla scia di sculture specchianti di grande impatto scenografico, chi è stato a Chicago al Millennium Park ha potuto ammirare la Cloud Gate (2004) che però tutti chiamano The Bean perché assomiglia a un enorme fagiolo specchiante (10×13 m). Si tratta di una tra le sculture pubbliche più instagrammate al mondo e considerata dai critici tra i migliori esempi di arte pubblica contemporanea.
Tornando al percorso espositivo della mostra fiorentina, nell’ultima sala del Piano Nobile ci addentriamo nell’esplorazione nel territorio del verosimile con Angel (1990). È una installazione di grandi pietre di ardesia ricoperte da numerose mani di intenso pigmento blu di Prussia, davvero magnetica, composta da massi che sembrano solidificare l’aria, frammenti di meteorite di cielo, solidi ed evanescenti al tempo stesso, che sarebbero piaciute a Yves Klien e che materializzano processi di cambiamento della materia.
Accessibile a tutti è il Void Pavilion VII (2023), al centro del cortile di Palazzo Strozzi, dove lo spettatore è invitato a immergersi in un vuoto cosmico e misterioso, uno spazio della meditazione da vivere in maniera soggettiva in un pozzo di ignota oscurità. Qui, risucchiati dall’imperscrutabilità del passato e del futuro, di reale c’è soltanto l’esperienza del presente, di qualcosa di simile o inverosimile al tempo stesso impossibile da raccontare. Per Kapoor pigmento, pietra, acciaio, cera, silicone e altri materiali trascendono la loro materialità; tutto si manipola e nulla è come appare. Nel suo lavoro, alchimia e materiali tracciano dimensioni plastiche dalla sorprendente tensione spirituale ed estetica.
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