GIANNI COLOMBO A SPACE ODYSSEY, FONDAZIONE MARCONI MILANO


Topoestesia, 1965-70. Vitalità del negativo nell'arte italiana 1960/1970, Palazzo delle Esposizioni, Roma, novembre 1970 - gennaio 1971. Fotografie Ugo Mulas © Eredi Ugo Mulas. Tutti diritti riservati.
Gianni Colombo,
After-points, 1965.
Metallo, lampade e meccanismo elettromeccanico 45 x 45 x 10 cm.
Collezione privata, Courtesy Gió Marconi, Milano

Quando cinema e arte trovano spazialità condivise nella luce, allora la vertigine del disorientamento è assicurata. Tale esperienza è praticabile visitando la retrospettiva Gianni Colombo A Space Odyssey a cura di Marco Scotini, ideata per la Fondazione Marconi (via Tadino 15, fino al 17 luglio) a Milano in collaborazione con l’Archivio Gianni Colombo, dove lo spazio è l’opera e il fruitore sfida la gravità, attraversando il tempo per compiere un metaforico viaggio nelle atmosfere cinematografiche del colossal  di Stanley Kubrick del 1968.

Gianni Colombo,
Strutturazione pulsante, 1959.
Legno, polistirolo e meccanismo elettromeccanico
200 x 200 x 25 cm.
Collezione privata, Courtesy Gió Marconi, Milano

È l’anno in cui Gianni Colombo (Milano 1937- Melzo 1993) vince il Primo Premio della XXXIV Biennale di Venezia con quella che diventerà negli anni la sua più celebre opera: Spazio Elastico (1967). In comune  Colombo e Kubrick hanno il disorientamento percettivo, il turbamento esperienziale, l’uso “geometrico”  della luce e i suoi effetti di ricezione. L’analogia tra la spazialità di Colombo e quella messa in scena nel film di Kubrick nasce dalla suggestione di un testo di Annette Michelson che ha evidenziato il loro disorientamento percettivo dello spazio, inscenato nella Fondazione Marconi, in cui si genera il dubbio di ristabilire lo stato di equilibrio del nostro corpo, come processo aperto, da prendere sul serio.

Gianni Colombo,
Cromostruttura, 1961.
Plexiglass, metallo, lampade e alimentazione elettromeccanica
217 x 24 x 24 cm.
Collezione privata, Courtesy Gió Marconi, Milano

Con questa retrospettiva di 40 opere la Fondazione Marconi e Giò Marconi, in occasione del trentesimo anniversario della prematura scomparsa di un protagonista dell’arte cinetica e ambientale internazionale, mira sul vincolo tra spazio e corpo dalla particolare drammaturgia spaziale, mettendo a confronto ambienti e opere di Gianni Colombo con l’assenza di gravità perturbante visibile nel mitico film 2001 Odissea nello Spazio di Kubrick, realizzato l’anno prima dell’allunaggio.

Gianni Colombo con Spazio elastico, cubo, 1970 c.
Photo Oliviero Toscani,
Courtesy Archivio Gianni Colombo, Milano

L’esponente del Gruppo T, fratello minore del designer Joe Colombo (presente in mostra con due poltrone  della serie Elda), con Giovanni Anceschi, Davide Borriani, Gabriele De Vecchi e Grazia Varisco, dalla fine degli anni’50 indaga sulla percezione ottica e sui suoi rapporti con lo spazio, attraverso destabilizzanti ambienti  cinetici e immersivi, in cui il fruitore è protagonista di nuove dinamiche percettive .

Gianni Colombo,
Topostesia. Progetto, 1977
Legno dipinto
20 x 33 x 13 cm.
Collezione privata, Courtesy Gió Marconi, Milano

Nella Fondazione Marconi, dispositivi cinetici, video, fotografie e oggetti, complici la luce e il movimento, ristrutturano lo spazio preesistente, suggerendo una lettura cinematografica delle sue opere, come è possibile capirlo soltanto visitando la mostra progettata con rigore scientifico da Marco Scotini, direttore scientifico dell’archivio Colombo. L’incipit dell’odissea spaziale suggerita da questa mostra inizia con i dischi in ceramica smaltata a dripping del 1959, raccolti nella prima sala. Seguono opere sospese e cinetiche, incantevoli quelle degli anni’90, che hanno aperto la strada alla Light Art contemporanea sempre più polisensoriale e destabilizzante.

Gianni Colombo,
Spazio elastico. Quadrati che si muovono, 1967.
Acciaio e animazione elettromeccanica
100 x 100 x 100 cad.
Collezione privata, Courtesy Gió Marconi, Milano

Colombo indaga nuove dinamiche percettive e inediti campi di ricerca visiva e sensoriale che “abitano” la Fondazione Marconi, dove sono stati ricostruiti ambienti disequilibranti, come per esempio Campo Praticabile, dai piani inclinati, realizzato con Vincenzo Agnetti (1970) e già esposto nello studio Marconi negli anni ’70.

Gianni Colombo,
Strutturazione ritmica, 1964.
Lamiera, lampada, plexiglass e meccanismo elettromeccanico
114 x 98 x 17 cm.
Collezione privata, Courtesy Gió Marconi, Milano

Incantano la serie di Spazio Curvo degli anni ’90 e di Spazio Elastico, seducono e insieme respingono Bariestesia (1975), Topoestesia (1977), immobilizzano lo sguardo al muro, Strutturazione pulsante (1959).  Lo spettatore, restando in attesa di qualche palpitante movimento, tra corridoi sbilenchi, opere cinetiche e anche colorate come Cromostruttura degli anni ’60, fluttua in uno spazio cosmico e geometrico insieme,  precipitando dentro una dimensione straniante, come dispositivo in movimento.

Gianni Colombo,
Bariestesia (installation view), 1975.
Studio Marconi, Milano
Foto Mario Carrieri

Dal piano terra al piano interrato, fino al secondo piano della Fondazione Marconi con l’incantevole Spazio Curvo (1992) della Collezione A arte Invernizzi, è garantita una totale immersione nella ricerca ottico-percettiva di Colombo. Qui si ha l’impressione di trovarsi dentro una navicella spaziale immaginaria, in compagnia di Vincenzo Agnetti, Ugo Mulas, Joe Colombo, ideali “compagni” di un viaggio metaforico,  insieme a Lucio Fontana, Enrico Castellani e altri artisti che hanno indagato la dimensione spazio-temporale come fattore principale dell’opera d’arte e della sua ricezione, molto prima di Olafur Eliasson.