Quando si parla di Intelligenza Artificiale (IA) si pensa immediatamente a scenari futuristici, a macchine pensanti o addirittura in grado di provare sentimenti come nel film “A.I. Artificial Intelligence” di Steven Spielberg. In realtà l’IA è ormai comunemente utilizzata in molti settori della nostra vita quotidiana e in modo meno fantascientifico di quanto si tende comunemente a immaginare, ma la sua sempre maggiore diffusione sta generando dibattiti e preoccupazione su come possa arrivare a superare e sostituire l’ingegno umano, in particolare per le recenti applicazioni nell’arte e nell’architettura.
Per esempio, come può l’IA interagire con l’architettura? Ne abbiamo parlato con l’architetto Matteo Zambon, cultore della Materia presso UNIUD Università degli studi di Udine in Composizione Architettonica e Urbana – Paesaggio e dottorando in Ingegneria Civile-Ambientale e Architettura all’Università degli Studi di Trieste. Nel 2022, insieme al collega architetto Jacopo Bonat, Matteo Zambon ha fondato il collettivo artistico Archidrome che indaga la questione spaziale e atmosferica del rapporto tra l’uomo e il paesaggio di cui fa parte, naturale o costruito, cercando di interpretare nuovi modi di vivere la relazione simbiotica come coesistenza interspecie finalizzata a un equilibrio non prevaricante tra umani e non umani.

Per Zambon l’IA rappresenta un supporto al lavoro dell’architetto, un mezzo che genera immagini comunque derivanti dal pensiero umano e che quindi, nonostante i sempre più diffusi timori, non può sostituire la creatività umana. “Il processo prevede la compilazione di un prompt del progetto, ovvero una descrizione della tipologia di edificio/oggetto che si desidera ottenere; quindi, il software con applicazione IA reinterpreta il testo ed elabora l’immagine, basandosi su database già esistenti”. Il principale vantaggio è quindi la semplificazione e la velocizzazione del rendering, con l’IA che può suggerire più rapidamente tutta una serie di soluzioni. “Ma è comunque sempre l’architetto a concepire il prompt e a scegliere l’immagine finale, e l’IA si basa e rielabora big data e immagini creati dagli essere umani”, non lavora ex novo. Il miglior paragone che si può fare è con la macchina fotografica: dai primi modelli che prevedevano di dover stare fermi in posa per vari minuti a quelle con rullino (per un numero comunque limitato di fotografie), fino alle macchine digitali e agli smartphone che permettono di scattare centinaia di foto in pochi minuti e di avere di conseguenza centinaia di variabili tra cui scegliere. Ed è il fotografo a stabilire il soggetto, l’angolatura e, appunto, decidere quali scatti tenere.
Il rischio che ne potrebbe derivare è la saturazione, in quanto la disponibilità di un numero sempre maggiore di immagini elaborate dall’IA, potrebbe portare l’IA stessa a lavorare su tali immagini.
L’IA, come spiega Zambon, aiuta anche nella simulazione dell’illuminazione, elaborando modelli 3D molto complessi e giocando su diverse applicazioni predefinite di luce, naturale o artificiale, in diversi momenti della giornata, più o meno intensa, in una moltitudine di possibilità.
E lo stesso ragionamento è valido non solo per progetti di edilizia pubblica e privata (scuole, edifici abitativi, ecc.) prettamente architettonici, ma anche per oggetti di design quali lampade e mobili.

Un discorso a parte merita la sostenibilità, tema delicato e complesso, a partire già dalla scelta se integrare o fondere il paesaggio nel disegno finale e per l’utilizzo del “verde”, ma per sostenibilità si intende anche lo studio sul benessere psicologico delle persone, applicabile alle costruzioni. Anche in questo caso l’IA è un valido strumento di supporto per l’ideazione di molteplici scenari, anche futuribili, come quelli appunto studiati dall’architetto Zambon nei suoi progetti di integrazione tra architettura e paesaggio, intitolati Possible Maybe, edifici ricoperti di vegetazione dalle linee mosse simili a onde.
Per quanto riguarda i progetti, si può partire da un’immagine già esistente e poi rielaborarla tramite l’IA, o viceversa da suggestioni per arrivare a un prototipo sia di edifici, in ogni caso non site specific (e quindi non pensati per un luogo reale), che di oggetti. Infatti l’IA rappresenta il futuro in quanto capace di sviluppare le potenzialità dei software e di evolvere giorno per giorno, e per questo verrà sempre più integrata a programmi di uso comune, quali Bim o di modellazione solida 3D.
“Un inconveniente che si potrà presentare è costituito dalla falsificazione, come l’uso di immagini di edifici non reali ma presentati come tali. E il modo in cui verranno utilizzate aprirà certamente nuove diatribe, ma il futuro e la tecnologia continueranno a progredire e non si fermeranno”.