Making Spaces è il titolo della mostra organizzata da Cardi Gallery a Milano, la città in cui Paolo Scheggi (1940-1971), nato a Settignano in provincia di Firenze, trova nel 1961 – a vent’anni – il suo personale spazio altro e il fermento creativo intorno all’audace stilista fiorentina Germana Marucelli, antesignana del Made in Italy che trasforma il suo atelier milanese in un salotto culturale frequentato dagli artisti che gravitano intorno allo Spazialismo di Lucio Fontana, mentore con i sui buchi, tagli e ambienti, delle neoavanguardie italiane. A distanza di sessant’anni dall’ingresso in collezione di due Intersuperfici di Paolo Scheggi nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, allora diretta da Palma Bucarelli, dalla partecipazione dell’artista alla collettiva Monocroma a Bologna e a Firenze e dal suo debutto nella scena internazionale con una mostra a Bruxelles nella Galerie Smith (1963), Milano celebra la contemporaneità di Paolo Scheggi con questa imperdibile mostra aperta fino al 15 di aprile.
L’esposizione, ideata come spunto di riflessione sulla sua ricerca multidisciplinare, è organizzata in collaborazione con l’Associazione Paolo Scheggi e presenta una mirata selezione di oltre 25 opere – caratterizzate da composizioni monocrome con forature circolari o sovrapposizioni di piani come variazioni compositive sul concetto di iterazione, interspazio, multimedialità – e una inedita e preziosa documentazione d’archivio. di metallo smaltato monocromo, come Composizione spaziale (1967-1968), in legno dipinto di rosso. La curatrice della mostra Ilaria Bignotti è riuscita a concretizzare nello spazio – rigorosamente bianco della galleria milanese – una “visibilità strutturata” tra forma e colore e dialettica tra architettura, pittura e design, sviluppando l’idea di una progettazione integrata che si snoda principalmente tra Intersuperfici e Inter-ena-cubi, opere che riproducono quadrati in cui i cerchi sembrano “diaframmi” ideali per la percezione dello spazio, realizzate con moduli di cartone colorato fustellato e plexiglas, oppure con moduli di metallo smaltato monocromo, come Composizione spaziale (1967-1968), in legno dipinto di rosso.
Le opere spazialiste e monocrome di Scheggi, realizzate tra il 1961 e il 1971, rappresentano una personale “Odissea” intorno allo Spazialismo e all’Arte Programmata Cinetica che, folgorata dalla carismatica figura di Bruno Munari e da altri protagonisti del movimento avanguardista “battezzato” da Umberto Eco e altri intellettuali dell’epoca, si muove all’insegna della ricerca interdisciplinare volta a rompere la fissità della pittura e lo sviluppo tridimensionale degli oggetti nello spazio attraverso effetti ottico-cinetici stranianti, mettendo in crisi il concetto di prospettiva in cui lo spettatore è il protagonista. Ambienti e progetti di integrazione plastica all’architettura sono visibili guardando dal vero le sue opere, in particolare il grande ambiente Interfiore (1968), ricostruito al primo piano della Galleria Cardi, realizzato con 85 anelli fluorescenti giallo squillante in legno e luce di Wood sospesi nel buio. Qui il fruitore coglie le tensioni “immersive” di una ricerca mirata ad una progettazione totale, aperta a linguaggi differenti con oggetti plastico visuali e strutture geometriche monocrome seriali che hanno fortemente caratterizzato il design modernista negli anni successivi.
L’intensa e fulminante parabola creativa di Scheggi, concentrata in un decennio poiché scomparso a soli 31 anni, rappresenta un’artista atemporale, dallo sguardo geometrico sul mondo di ascendenza rinascimentale che va ben oltre un punto, un foro, un taglio o uno squarcio intorno al vuoto al fine di dare forma alle aperture plastiche, risolte in pitture-oggetti, strutture e ambienti che rispecchiano la sua visione di arte umanista e di integrazione tra architettura e pittura. Nel suffisso “inter” dei titoli delle opere di Scheggi c’è il messaggio e l’intenzione di aperture e inter-connessioni tra discipline differenti, come password per la ricerca di un altrove tutto da esplorare attraverso “cromospaziature” con la complicità del fruitore che le attraversa. Come avviene nel caso degli ambienti, Scheggi si apre alla sperimentazione di nuovi materiali, dove anche la luce diventa lo strumento per evidenziare le angolazioni visuali dello spettatore e le potenzialità spaziali alla ricerca di “N” dimensioni. Nelle sue figure geometriche il rapporto cruciale tra progetto, immagine, composizione, costruzione e percezione trova origine nell’esercizio di fenomenologia ottico-fisica come metodo e insieme presupposto di indagine per ampliare la percezione, sul principio dell’instabilità della visione, come possibilità operativa. Making Spaces, Paolo Scheggi, Cardi Galley