A Milano, alla Fondazione Stelline in Corso Magenta 61, nell’ambito della Design week si presenta la prima mostra personale retrospettiva di Steven Scott (1955), un corpus di opere incentrate sugli ultimi 25 anni della produzione dell’artista e scenografo londinese che vive e lavora a Copenaghen.
La mostra “Steven Scott Odyssey Light Colour Time” a cura di Lisa Hockemeyer, ruota intorno alla capacità combinatoria di luce, colore, tempo e scansione matematica, elementi che interagendo con lo spazio producono una metaforica Odissea, mettendo il visitatore nelle condizioni di vivere una esperienza di conoscenza di se stessi in relazione al tempo della luce e alla percezione dei colori, tesa a ricongiungerci con l’infinito. (Fino al 3 luglio)


Steven Scott, Skyline, Installazione permanente in sei parti, costruzione in vetro e alluminio, 2,2m x 7,75 m, Hubnordic Ørestad, DK, KLP Pension Fund Norway, 2020-2021 (Fotografia Henrik Ginge)
Complice lo spazio, ovvero 130 mq di area espositiva sotterranea e lineare della Fondazione Stelline particolarmente adatta per installazioni ambientali e sculture luminose, mostre più introspettive, dove il percorso espositivo e contemplativo si apre con Corner (2005), opera omaggio a Dan Flavin, protagonista della Minimal Art americana che richiama l’ultima scenografia di Scott ideato per lo spettacolo inaugurale “Requiem” all’Opera House Copenhagen nel 2006. Seguono le ipnotiche Browon Light One (2007) e Black Light Triptych (2005), e tra le altre opere da vedere e non da raccontare, trattandosi di sculture di luce in questo scrigno sotterraneo, spiccano Icon 2.0 e Icon 2.1, entrambe del 2010, che inevitabilmente rimandano alle “Icone”, opere con luce al neon di Dan Flavin, anche se quelle di Scott non creano un senso di congelamento come quelle del maestro grazie al colore “caldo”, bensì il contrario.
Chiude il percorso della mostra didascalica ma raffinata la proiezione in prima mondiale di Triptych (2022), installazione di video arte ispirata alla musica poetica di Robert Ashley (50’), incastonata nella pojet & video room da guardare con calma, capace di mettere in relazione un tempo non lineare con il caso e il cambiamento continuo dell’atmosfera, fattori luminosi e sonori che determinano l’attimo della percezione.
La connessione tra tempo soggettivo e l’ambiente circostante è il punto essenziale della ricerca delle strutture ripetitive di Steven Scott, in cui il movimento e le variazioni luminose modificano costantemente la percezione dello spazio. L’artista londinese non è il primo e non sarà l’ultimo a indagare le potenzialità espressive dell’affascinate linguaggio plurimo della Light Art, inoltre da abile scenografo qual è, mira alla sintesi tra forma e colore in relazione allo spazio nella ricerca sinestetica, in cui tutto dipende dalla percezione e sensibilità del fruitore.
Tra le sue sculture minimaliste ispirate alla scena artistica newyorkese della fine anni ’70 e ’80, spicca per rigorosa compostezza cromatica una struttura in vetro e alluminio nominata Six –Part Elements (2022), basata sull’applicazione matematica del tempo secondo i principi di Fibonacci, lo stesso matematico che ha ispirato Mario Merz, davvero magnetica. Le opere di Scott, sono diversamente “impressioniste”, richiedono tempo di contemplazione, perché sono il risultato di uno studio analitico ed emotivo insieme della scansione del tempo durante il giorno, attento com’è ai cicli naturali e i cambiamenti stagionali, in cui si ha la sensazione di sentire oltre che di vedere le variazioni atmosferiche. Oltre alla mostra alla Fondazione Stelline, sempre a Milano in via Montenapoleone 26, la sua installazione permanente Oculusubicata nel flagship store PINKO, una struttura in cui la luce colorata sequenziata in movimenti pulsanti che s‘irradiano da una forma circolare interna alla cornice rettangolare, anima lo spazio e invita l’osservatore a una alla lettura simbolica dell’Architettura, in cui “forma” e “sostanza” sono convergenti. Ogni opera di Scott si basa sulla compenetrazione di luce, colore e tempo che si fa scultura della visione, in cui il movimento si fa elemento di alterazione percettiva che racchiude in sé riflessioni di natura filosofica dai significati plurimi ed emozioni di luce.