MASSIMILIANO BALDIERI: FACCIO UN LAVORO BELLISSIMO


Massimiliano Baldieri
Massimiliano Baldieri

Ho incontrato Massimiliano Baldieri, lighting designer romano e internazionale, e mi sono fatto raccontare i suoi lavori e come è cambiato il modo di fare luce con l’avvento del Led.

La famiglia Baldieri si occupa di luce da oltre cinquant’anni. Come si è evoluta la vostra attività?
L’azienda, pur nascendo come realtà commerciale, si è sempre occupata esclusivamente di illuminazione, assistendo il progettista nella scelta degli apparecchi e della soluzione illuminotecnica, finalizzata alla fornitura. Siamo stati i primi in Italia a dotarci di un laboratorio fotometrico: il primo goniofotometro venduto in Europa a un’azienda non produttrice – e il secondo dopo quello installato all’Istituto Galileo Ferraris di Torino – per misurare gli apparecchi e inserire i dati in uno dei primi software di progettazione. Sempre di più la progettazione diventava necessaria e complessa, occupando la maggior parte delle risorse aziendali. Ma con le nuove politiche commerciali, i nostri fornitori sono diventati concorrenti. Abbiamo quindi deciso di cambiare l’approccio e offrire il nostro servizio di progettazione anziché il prodotto. E proponendo nei progetti più complessi di integrare con la fornitura, poiché per il cliente finale è più facile avere un solo interlocutore che garantisca la gestione completa, dal concept alla realizzazione.

La Galleria Nazionale Roma
La Galleria Nazionale | Rome | Ministero Beni Culturali Direttore Cristiana Collu Fotografie ©luigi filetici

L’arte, antica e contemporanea, ha sempre avuto bisogno di una buona illuminazione per essere letta correttamente. Penso alla Galleria Nazionale e alla Gagosian Gallery, entrambe a Roma: due suoi interventi, molto diversi e complessi. Ci vuole raccontare e spiegare che soluzioni ha adottato?
Entrambi i lavori hanno un importante significato personale: la Galleria Nazionale, ad esempio, è stato un progetto realizzato da mio padre Maurizio Baldieri negli anni Novanta con apparecchi a ioduri metallici, le prime Master Color (al tempo soluzione unica per poter raggiungere livelli d’illuminamento adeguati da altezze considerevoli). Gli apparecchi usati erano equipaggiati con lenti per poter modificare il fascio luminoso in funzione delle dimensioni delle opere. Ricordo lunghe notti passate a puntare e regolare i fasci insieme a lui, mi posizionava al posto delle sculture per puntare precisamente gli apparecchi e verificare il risultato. Quando l’attuale Direttrice, la Dott.ssa Cristiana Collu, ha voluto ripensare l’allestimento della Galleria, coinvolgendomi nel progetto, ho avuto un momento di grande riflessione per la responsabilità di dover modificare un progetto di mio padre! Nel nuovo allestimento, che ha creato un percorso espositivo innovativo basato sul dialogo fra le diverse opere esposte, ho utilizzato nuovi apparecchi con tecnologia Led, versatili quanto i precedenti ma più all’ avanguardia, ottenendo il risultato richiesto senza stravolgere le linee guida tracciate da mio padre. La Gagosian Gallery è stato un progetto molto interessante, sia perché si trattava di una delle più importanti gallerie di arte contemporanea, sia per lo spazio espositivo di forma ellittica, progettato magistralmente dall’architetto Firouz Galdo. La difficoltà maggiore è stata quella di convincere il cliente a non adottare il sistema d’illuminazione che stava attualmente usando nelle gallerie di Londra e Parigi, tubi fluorescenti nudi a soffitto. Questi a volte funzionano e rendono gli spazi quasi evanescenti, ma per l’altezza della galleria di Roma e la sua particolare forma avrebbero vincolato troppo gli allestimenti. Abbiamo quindi pensato a un più versatile sistema di binari dove gli apparecchi potevano essere installati e sostituiti, per creare ogni volta una scenografia di luce in funzione dell’esposizione. Il lavoro, realizzato 12 anni fa con lampade alogene, è attualmente in fase di riprogettazione con apparecchi a Led.

  • mast bologna
  • auditorium firenze

A Bologna ha illuminato degli uffici, un museo, un asilo e un auditorium. Ognuno di questi “oggetti o spazi architettonici” ha una propria luce, e il risultato finale è quello di poter godere di ambienti accoglienti, piacevoli ed emozionali. Qual è il fil rouge progettuale che li lega tutti? 
Il progetto del MAST con lo Studio Labics di Roma è stato molto impegnativo proprio per la varietà degli spazi, ognuno con caratteristiche e usi diversi nell’arco della giornata, con forti integrazioni di luce naturale. Il fil rouge che li lega è quello che lega tutti i nostri progetti: l’assoluta percezione degli spazi architettonici, la volontà di non essere protagonisti assoluti con la luce e l’attenzione a enfatizzare le scelte del progettista, sia nel disegno degli spazi, sia nella scelta delle finiture. Ovviamente mantenendo i requisiti di quantità e, specialmente, di qualità della luce, per poter fruire degli spazi nelle loro funzioni.

L’innovazione tecnologica in questi anni è stata forte, e l’avvento dei Led ne è la dimostrazione; altrettanto le attese sul valore della luce come benessere, ambiente, emozione. Che cosa è cambiato nella progettazione, soprattutto nella sua professione?
L’avvento dei Led ha cambiato radicalmente il modo di progettare. Agli inizi eravamo tutti molto scettici, le sorgenti non erano soddisfacenti ed eravamo portati a “tradurre” la nostra esperienza con le sorgenti tradizionali applicandola a quelle Led. Anche l’industria ha fatto fatica all’inizio, nessuno era abituato a pensare out of the box. Oggi, la situazione è cambiata radicalmente. In termini di qualità ormai le sorgenti Led sono comparabili alle lampade alogene, ma si sono aggiunti parametri che prima non venivano considerati, quali la temperatura colore e la resa cromatica, quest’ultima importantissima ma spesso sottovalutata, poiché considerata per il suo valore medio (indice CRI) anziché per la sua composizione spettrale in dettaglio.

Gagosian Gallery
Gagosian Gallery | Rome 2006 Caruso St John Architects | London Arch. Firouz Galdo | Roma Fotografie ©luigi filetici ©courtesy of Erco

Come lighting designer ha lavorato a New York per tre anni, per poi rientrare in Italia. Quali sono, a suo parere, le maggiori differenze che distinguono la stessa professione in questi due paesi?
Ho avuto l’opportunità di conoscere studi di architettura e studi di light design che hanno dimensioni nemmeno comparabili agli studi italiani. La professione del light designer è, oltre che riconosciuta, anche richiesta. In ogni progetto esiste la consapevolezza da parte di tutti gli attori della necessità di affidarsi a un consulente che progetti la luce all’interno e all’esterno degli spazi. Oltre al rispetto della professionalità c’è una reale responsabilità progettuale, e per questo anche le parcelle sono adeguate al lavoro svolto. In Italia, anche se negli ultimi anni c’è stata un’accelerazione delle richieste – specialmente nel settore retail, dove la necessità di adeguarsi alle nuove tecnologie ha reso necessario l’utilizzo di un consulente per l’illuminazione –, siamo ancora lontani da quegli standard. Oggi molte aziende di illuminazione offrono gratuitamente tale servizio al cliente finale, con la forte limitazione però a utilizzare esclusivamente i loro apparecchi e senza quindi la libertà espressiva di un progettista indipendente. E i risultati non sono sempre eccellenti.

In un’intervista di alcuni anni fa (LUCE 321|2017, ndr), Daniel Stromborg (Gensler) disse: “Sono un fermo sostenitore del fatto che la luce completi o annulli un progetto”. Lei cosa ne pensa? 
Sono assolutamente d’accordo. Partirei dal fatto che vediamo solo tutto ciò che è colpito dalla luce, quindi un bel progetto architettonico, buio, non è apprezzabile. Ovviamente il discorso è più ampio: poiché le luci e le ombre aiutano a percepire gli spazi, l’uso sapiente degli apparecchi e il loro posizionamento crea una scenografia che può esaltare le scelte architettoniche. Un uso sbagliato può cambiare completamente la percezione dello spazio.

Redemption flagship Store
Redemption flagship Store | New York 2019 Studio Luca Guadagnino | Milano Fotografie ©giulio ghirardi

Quale consiglio darebbe a un giovane studente in cui sta affiorando l’idea della professione di lighting designer?
Espatriare!? No, scherzi a parte direi che è una professione bellissima, ti permette di spaziare in ogni settore, di toccare con mano, di vedere il risultato del proprio lavoro. Consiglio di studiare ma anche di provare molto, di accendere lampade, di sperimentare. Le verifiche illuminotecniche e i rendering sono necessari, poiché restituiscono valori e viste, ma spesso le vecchie faticose prove di luce danno la certezza della scelta o la consapevolezza dell’errore.

Quale edificio o luogo le piacerebbe illuminare? 
Questa domanda è difficilissima, non saprei rispondere, se non: il mio prossimo progetto!

L’articolo è originariamente apparso su LUCE n°330, 2019.