ILARIA MARELLI: CON PASSO DECISO, OLTRE IL DESIGN


Pitti Bimbo
Click, Pitti Bimbo Apartment 2019

Ilaria Marelli è architetto e designer, ma la sua professione non può essere sintetizzata in sole due caratteristiche, perché lei è molto di più: si occupa di art direction, ma anche di design di prodotto, è una consulente di strategia, ma nel frattempo progetta interni e allestimenti, e lavora soprattutto su idee che siano al contempo emozionali e sperimentali.

Ilaria Marelli
Ilaria Marelli photo ©Diego Alto

Va oltre il modo classico di essere designer, qual è il suo percorso?
Ho studiato architettura, che per me ha rappresentato una formazione culturale ampia, un invito alla curiosità e spesso anche all’arrangiarsi per sopravvivere. Proprio al Politecnico ho conosciuto Ezio Manzini, con il quale ho iniziato a lavorare sui temi della sostenibilità, del design strategico, dei servizi e del co-design. La mia formazione sul campo, invece, è avvenuta con Giulio Cappellini; da lui ho imparato il gusto di sperimentare, e ogni tanto a fare qualche pazzia, ma soprattutto tanto bagaglio tecnico specifico, grazie agli anni passati nell’ufficio Ricerca&Sviluppo. Una formazione sul “bello” e sul “buono” del design, tratti che cerco di riportare sempre nei miei progetti.

Come si rapporta con la luce?
Io amo la luce per la sua impalpabilità, ma allo stesso tempo per la sua fondamentale presenza nel creare emozioni. Alcuni designer amano profondamente la materia, io preferisco più gli aspetti ineffabili e poetici del progetto, e la luce è uno di questi; insieme al suono, è un aspetto spesso trascurato all’interno della progettazione.

La scelta della illuminazione va di pari passo con la scelta delle ombre: di frequente sostengo quanto sia importante imparare a progettare proprio le seconde; quando si parla di un progetto di luce spesso si finisce a discutere di aspetti illuminotecnici di dettaglio, perdendo via via il senso generale di quello che si vuole ottenere. Al contrario, se lavori sulle ombre, non puoi perdere il filo degli aspetti emozionali della realizzazione.

L’uso della luce, ovviamente, si valuta in maniera differente in un progetto di allestimento, cioè uno spazio delimitato e conoscibile, rispetto a un progetto di prodotto, nel quale immagini i desideri, i sogni e l’esperienza d’uso di un utente possibile ma non certo.

Pitti Bimbo
Arabesque, Pitti Bimbo Apartment 2011

Da poco ha raggiunto i 10 anni di Apartment per Pitti Bimbo: come è riuscita a gestire un progetto tanto complesso, con molti interlocutori e tempistiche ridotte?
Questo progetto è nato e cresciuto grazie alla fiducia e alla collaborazione del team di Pitti Immagine, dalla direzione al marketing, dal local architect alla squadra di allestitori e tecnici audio video: tutti consapevoli del fatto che mettere in scena 1.200 mq di padiglione con lounge&bar ed esposizione di 24 brand di moda internazionali sia ogni volta una grande prova, da realizzare in poco più di due mesi tra l’ideazione e l’opening dell’evento.

Dal mio punto di vista questa collaborazione è una sfida ma anche un’occasione per sperimentare soluzioni progettuali spesso per me inconsuete: passando così da allestimenti basati sulla sola luce ad altri invece “ipergrafici”, da soluzioni più eleganti ad altre ironiche e giocose, da mood outdoor con trionfo del verde a soluzioni tecnologiche con videoinstallazioni. Tutto questo non si riesce a realizzare senza un ottimo lavoro di team.

Come ha utilizzato la luce nei diversi ambienti? 
In un allestimento la scelta della luce crea l’atmosfera e spesso il senso dell’esposizione stessa, guidandone la lettura passo dopo passo; ci sono delle domande che ci si pone sempre quando si parte con un progetto: cosa voglio mettere in evidenza (e lasciare in ombra) e come? Quali emozioni desidero suscitare? Scelgo un’atmosfera più cupa o più solare? Più omogenea o più “caravaggesca”? Fissa o in movimento? Tutto ciò si traduce in scelte di “mood luminoso” da condividere poi con gli specialisti per trovare la soluzione tecnica più adatta al risultato voluto.

E poi esistono gli aspetti espositivi specifici: negli allestimenti per Pitti Immagine, ad esempio, nella zona lounge&bar posso osare di più, utilizzando soluzioni sceniche e luminose, e, quindi, nelle diverse edizioni ho creato atmosfere con luci colorate, con effetti luminosi in movimento, con giochi di specchi e di riflessi infiniti. Nelle stanze espositive dei vari brand di moda, invece, la luce ha il compito primario di “puntare” il prodotto senza falsarne il colore. Anche se ogni regola ha la sua eccezione, in un’occasione mi sono divertita a lavorare con il principio delle ombre colorate, che mantengono la luce bianca ma creano un colore luminoso sulle pareti!

  • Pitti Bimbo
  • The Magic Box

Sostiene che “un progetto di allestimento è come uno strumento di marketing”. Cosa intende?
L’allestimento è una sorta di rappresentazione teatrale su un palco, lo stand, di quanto l’azienda ha da raccontare, in quel particolare evento, in termini di messaggio, di prodotto, di comunicazione dei valori del brand. E questo è senz’altro marketing, ma non solo: è compito del progettista riuscire a dare un corpo progettuale a queste esigenze di comunicazione, ma anche confezionarle in modo da coinvolgere l’utente spettatore nella narrazione messa in scena.

Belle de Jour per Foscarini è una lampada delicata e teatrale. Quale è stato l’iter di questo oggetto?
Nonostante l’iperproduzione attuale, quando lavori su progetti di interni spesso ti accorgi che ti manca “il prodotto giusto” e allora, nel mio caso, provi a disegnarlo! Volevo una lampada che fosse un oggetto scenico importante ma al tempo stesso leggero, sia formalmente che fisicamente, per ambienti di accoglienza e ospitalità, ma anche per privati, con una presenza luminosa in sé, ma in grado di illuminare gli spazi in maniera performante.

Da qui è nata Belle de jour, in grado di illuminarsi ma anche di illuminare in maniera palpabile l’ambiente, con una luce proiettata a soffitto dalla corolla, che si comporta come un grande riflettore; un volume scenico importante ma delicato al tempo stesso, grazie alla leggerezza del rivestimento tessile semi trasparente e alla naturalità delle forme. 

Belle de Jour
Belle de Jour, Foscarini 2019

Ci racconta la storia di Ara, realizzata per Nemo, con la quale ha vinto il premio Light of the Future 2004? 
Ara è stato il mio primo progetto di lampada, un azzardo che fortunatamente ha colpito nel segno. In un panorama di prodotti per l’interior design allora caratterizzati da incandescenti e alogene, la mia proposta di una fluorescente verticale – un tipo di sorgente allora utilizzata quasi solo per illuminazione industriale – e dei Led per la luce ambientale, in quel periodo avanguardia pura, era certo fuori dal coro; ma Led e fluorescenti, per me che lavoravo sui temi della sostenibilità, sembravano la scelta più ovvia.

Dal punto di vista formale, ammetto che ero appena passata dalla casa “con tapparelle” alla casa “con tenda” e la sveglia al mattino con il taglio di luce proiettato sul muro mi era sembrata una vera rivoluzione poetica, una sorta di Lucio Fontana in negativo; da qui l’ispirazione del taglio di luce verticale nella massa apparentemente monolitica della lampada stessa.

Inoltre, da sempre io sono per una progettazione che l’utente possa gestire e fare sua; la possibilità di orientare il fascio di luce verticale e di “dimmerare” la luce ambientale, oltre a una motivazione funzionale, avevano per me una motivazione psicologica: offrire un grado in più di libertà nell’uso del prodotto. Posso sostenere che è stata davvero una “light of the future”; sono passati 15 anni e questo progetto è ancora uno dei best seller dell’azienda.

Ara
Ara floor, Nemo 2004

Un aspetto che non bisognerebbe mai dimenticare mentre si progetta?
Ogni progetto per me nasce da un’idea chiara e raccontabile in poche parole, comprensibili sia dal cliente che dall’utente finale, un’idea che possa essere affascinante nella sua quotidiana utilità. È proprio la comprensione di una storia fatta di innovazione come di memoria, di funzionalità e di poesia, di dettaglio studiato e di visione sintetica, di gesti consueti e di nuovi riti sociali, che, per me, fa sì che un progetto si radichi nel cuore delle persone.

Sul suo profilo c’è scritto che è “interessata agli aspetti sociali e culturali della progettazione”: in quale modo?
Credo a un design sociale, che si occupi di contenuti e non solo di aspetti formali. Ritengo che il settore in cui noi operiamo possa fare molto a livello culturale, offrendo interpretazioni della contemporaneità, e soprattutto creando identità positiva attraverso prodotti e servizi. Un po’ “neoplatonicamente” credo all’equivalenza BELLO=BUONO: un progetto che unisca poesia e utilità, che abbia un contenuto di innovazione, ma dove l’innovazione sia socialmente sensata.

  • Tivoli Audio
  • Aquagirl

Ha insegnato per molti anni “Design Innovation” presso il Politecnico di Milano, cosa le ha trasmesso questa esperienza?
Mi piace il confronto progettuale con ragazzi giovani, provenienti da diverse parti del mondo: è una sorta di spaccato di quello che potrebbe essere il nostro futuro, e mi piace provare a guardare le cose con un punto di vista che non è ancora troppo inquadrato; in fondo, forse, sono più brava a imparare da loro che a insegnare loro quello che può essere la “professione” del designer.

L’Italia è un bel luogo per essere designer?
Bellissimo e terribile al tempo stesso: sei circondato da aziende tra le più creative del settore, nonché da artigiani esperti e “risolutori”; sei immerso in una forte cultura del progetto, ma in questo ambito il ruolo del designer è spesso poco considerato o male interpretato. Mi è capitato più di una volta di dover spiegare il valore che sto portando avanti con il mio lavoro all’interno di un contesto, il mio ruolo e le mie competenze, situazione che, quando ho lavorato all’estero, in Giappone come negli Stati Uniti, non mi è mai capitato di dover giustificare.

Ilaria Marelli
Il lavoro di Ilaria Marelli Studio copre vaste aree di creatività: dall’art direction al product design, dall’exhibit all’interior design, in collaborazione con aziende internazionali nel settore del design e della moda.
Lo studio utilizza un approccio strategico che combina funzionalità ed emozioni e propone un percorso che tiene in considerazione l’impatto del design nella vita di tutti i giorni.
Interessata agli aspetti sociali e culturali della progettazione, Ilaria Marelli ha insegnato dal 2002 al 2018 “Design Innovation” al Politecnico di Milano, lavorando su temi di Social Innovation, tra cui l’introduzione del cohousing/coworking in Italia, e più recentemente sulle strategie di design per un approccio health&wealth. Vincitrice del premio Milano Donna nel 2008 e dell’AlumniPolimi Award per l’Architettura nel 2015; menzione d’onore al GrandesignEtico International Award nel 2019.

L’articolo è originariamente apparso su LUCE n°330, 2019.