Nella project room della galleria sotterranea The Flat – Massimo Carasi, a Porta Venezia, nel cuore del quartiere Liberty a Milano, Sali Muller (1981), artista lussemburghese che ha vinto il Premio della Critica al Museo di Lissone, presenta per la prima volta la nuova installazione site specific a luce Led con regolarizzazione timer di variazione di colore, intitolata Demateralisierung, dove lo spettatore resta in bilico tra materiale e immateriale.
L’installazione è composta da diversi moduli seriali sovrapposti e illuminati, posati a terra, che irradiano colore e alterano la percezione dello spazio circostante, con l’obiettivo di “scolpire”, attraverso supporti luminosi, dimensioni sensoriali animate da variazioni cromatiche, stadi di evanescenza, bagliori di connessione tra fisicità e virtualità.

Questa installazione ambientale s’inserisce nella mostra collettiva “Dusk Till Dawn”, comprensiva di opere di Matthew Allen, Daniel Mullen, Irina Ojovan, Maurizio Vicerè, incentrate sulla percezione della luce dall’alba al tramonto e come viene fruita dal nostro sguardo.
L’installazione ambientale di Sali Muller è la più ipnotica per variazione cromatica, intensità luminosa e studiato impatto scenografico, includendo colore, luce e spazio, attraverso moduli simili a “finestre” sovrapposte che sembrano affacciarsi sulla quarta dimensione.
Con giochi ottici e illusioni impercettibili, Muller, come Robert Irwin, crea spazi che ingannano i nostri sensi e sembrano inquadrare porzioni di ambienti con semplici strutture modulari, componibili, quasi cornici di uno spazio esterno. La sua è un’opera totale in cui scienza e psicologia dell’arte, geometria e variazione, coesistono armonicamente. Modulazione, serialità e ripetizione di strutture geometriche minimali attraverso la luce, fenomeno fisico che svela il mondo ai nostri occhi, ridefiniscono la profondità dello spazio preesistente.

L’obiettivo dell’arte di ieri e di oggi è l’estensione spaziale, il superamento del muro tra generi, linguaggi, architetture, oggetti e materiali per mettere in relazione diverse discipline, con espedienti multisensoriali volti a rendere visibili “superspazi” come laboratori sinestetici, creati non soltanto per farsi vedere, ma quali dispositivi energetici a luminosità intermittente con cui fare esperienze percettivo-sensoriali.
Le altre opere in mostra, diversissime tra loro per forma e materiali, chi più chi meno, interagiscono con il nostro sguardo, sono ipotesi di visione e percezione che trasformano l’opera in un “esperienza estetica totale”, elaborata dalle teorie di Vasilij Kandininskij, in cui le variabili percettive annullano il confine tra organico e artificiale, emotività e ipertecnologia, e il disorientamento diventa l’opera.